Il giorno in cui il Santissimo Sacramento arrivò nello spazio

Il giorno in cui il Santissimo Sacramento arrivò nello spazio

Percepire la presenza di Dio mentre si è immersi in un contesto naturale particolarmente maestoso e bello è qualcosa che accomuna pressoché tutti i credenti, da sempre. Infatti, come si può restare insensibili contemplando la grandiosità del cielo percorso da vascelli vaporosi fatti di nuvole, o trapunto di stelle scintillanti? Come si può non pensare all’infinita saggezza e generosità di Chi ha creato una foresta secolare, con alberi svettanti come pilastri eretti a sorreggere il cielo, un sottobosco fremente di vita, florido di felci e di un infinito brulicare di piccoli animali? O ancora, la vastità del mare, il suo moto eterno e diseguale, la sua furia spaventosa, quando i venti gonfiano le onde e stravolgono i fondali, divorando la costa. Da dove viene tanta forza, tanta indomabile violenza? Chi può placarla?

Da sempre l’umanità assiste impotente e colma di stupore all’incomparabile spettacolo della natura, da sempre non può fare a meno di leggere in essa la certezza che qualcosa o qualcuno di superiore esiste, e che a questa presenza sovrannaturale ed eterna deve l’uomo tutta la terribile bellezza che lo circonda. Per i cristiani, naturalmente, tutto riconduce a Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra e di tutto ciò che tra queste due sfere esiste, compresi gli uomini stessi.

Dunque come non comprendere l’emozione intensa e impareggiabile di chi ha la fortuna e la possibilità di poter ammirare il nostro pianeta intero da una posizione decisamente privilegiata, ovvero dallo spazio?

Parliamo degli astronauti, degli uomini e delle donne coraggiosi e capaci impegnati in missioni spaziali che li portano a trovarsi per periodi più o meno lunghi a distanze dalla Terra inimmaginabili per i comuni mortali, e di certo in condizioni di vita quanto meno anomale. Eppure, nonostante la lontananza dalla propria esistenza quotidiana, dai propri affetti, dalle proprie abitudini, o forse proprio in virtù di questa sorta di sospensione dalla vita ‘terrestre’, immersi in un contesto che non ha eguali, e dal quale possono contemplare la pienezza del creato nel senso più vero del termine, questi uomini e queste donne avvertono con ancor maggior intensità la presenza di Dio al loro fianco.

Michael S. Hopkins: “Gesù era con me!”

Ma come vivono la propria fede in orbita gli astronauti cattolici? Come possono supplire alla mancanza del Santissimo Sacramento per periodi anche molto lunghi?

Ognuno secondo le proprie possibilità, naturalmente. È vero che non c’è modo per loro di partecipare alla messa e di ricevere la comunione, ma non esistono impedimenti che non consentano loro di pregare, da soli o perfino insieme. È il caso di Sid Gutierrez, Thomas Jones e Kevin Chilton, tre astronauti in missione sull’astronave Endeavour in viaggio intorno alla Terra per studiare i cambiamenti nell’aprile del 1994: non solo pregavano insieme, ma celebrarono una liturgia cattolica con l’Eucaristia a bordo dello Space Shuttle.

Ma già nel 1968 l’equipaggio dell’Apollo 8 in orbita intorno alla Luna aveva lanciato un messaggio importante ai cristiani rimasti sulla Terra leggendo in diretta televisiva alcuni brani della Genesi.

Ancora, Buzz Aldrin, il secondo uomo sceso sulla Luna durante la missione Apollo 11, volle celebrare proprio sul satellite d’argento l’eucarestia utilizzando un kit da viaggio completo del Santissimo Sacramento e grazie a un permesso speciale della Chiesa presbiteriana.

Un caso più recente è quello di Michael S. Hopkins, astronauta e colonnello della U.S. Air Force. La sua missione è iniziata nel settembre del 2013: 24 settimane a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. Poco prima di partire, l’astronauta si era convertito al cristianesimo e aveva portato a termine il percorso di catechesi. Forse è stata proprio la freschezza della sua fede a rendergli intollerabile l’idea di dover rinunciare per un periodo così lungo a ricevere il Corpo di Cristo. Così, con l’intercessione del suo parroco e un permesso speciale da parte dell’Arcidiocesi di Galveston-Houston, all’astronauta è stato concesso di portare nello spazio una pisside contenente sei ostie consacrate, ciascuna divisa in quattro parti: il necessario per poter ricevere il Santissimo Sacramento una volta alla settimana per tutta la durata della missione. Inoltre il solerte parroco si è anche preoccupato di fargli pervenire ogni settimana l’omelia tramite e-mail, per rendere ancora più completa e confortante la sua esperienza di fede.

Com’è pregare nello spazio?

La Stazione Spaziale Internazionale è dotata di un particolare e unico modulo di osservazione, chiamato la Cupola. La Cupola è una semisfera di tre metri di diametro, dotata di 6 finestre laterali e una finestra nella parte superiore. Da queste finestre gli astronauti godono di una vista davvero ampia e privilegiata sull’esterno, e questo porta tutta una serie di vantaggi. Innanzitutto dalla Cupola si possono seguire le manovre dei colleghi impegnati all’esterno della Stazione, così come i movimenti del braccio meccanico e le operazioni di attracco.

Ma ciò che rende la Cupola davvero speciale, da un punto di vista squisitamente umano e psicologico, è che da lì si può vedere la Terra. A noi, abituati ai film di fantascienza, può sembrare banale, ma proviamo a metterci nei panni di questi uomini e queste donne lontani miglia e miglia da casa, all’effetto che deve sortire su di loro vedere il proprio pianeta ammantato di azzurro, sospeso nel vuoto cosmico come uno dei tanti altri corpi celesti. Non è quindi un caso se molti astronauti cattolici scelgono proprio la Cupola per andare a pregare, come documentano molte foto scattate nel corso delle varie missioni. È proprio quando avvertiamo in modo più intenso e palpabile la nostra fragilità, il nostro essere nulla di fronte all’immensità del creato, che sentiamo la presenza di Dio al nostro fianco, il Suo sconfinato Amore che ci avvolge, ci conforta, ci protegge. E tutto appare improvvisamente ancora più bello e prezioso, ancora più inestimabile, perché Lui è con noi, perfino quando siamo così lontani dalla nostra casa, sperduti in un abisso tempestato di stelle che ci gira intorno, indifferente, eterno. È comprensibile, dunque, lo stupore, la reverenza e l’amore che devono provare gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale quando, oltre le vetrate della Cupola, contemplano lo spazio profondo, raccolti in preghiera.

Significativa anche la testimonianza del già citato Thomas D. Jones. Nel suo libro biografico Jones scrive, tra le altre cose: “Ogni notte, prima di dormire, ringraziavo Dio per quelle meravigliose viste della Terra e per la riuscita della nostra missione. Pregavo in continuazione per la sicurezza della nostra squadra e affinché finisse tutto con un felice incontro con le nostre famiglie.” Anche in questa missione era stato concesso agli astronauti di portare con sé alcune ostie, che venivano distribuite da uno di essi, designato come ministro straordinario dell’Eucaristia

Kevin condivise il Corpo di Cristo con Sid e con me e fluttuammo nella cabina di volo, riflettendo in silenzio in questo momento di pace e di vera comunione con Cristo”, scrive ancora Jones, e continua: “Mentre meditavamo tranquillamente nell’oscurità della cabina, una magnifica luce bianca sorse dallo spazio entrando nella cabina. La luce radiante del sole, penetrava attraverso le finestre anteriori dell’Endeavour, infondendo calore. Quale altro segno avremmo potuto chiedere se non quello? Era la dolce affermazione da parte di Dio della nostra unione con Lui”.

Il libro di Thomas D. Jones trascende l’interesse scientifico per offrirci una testimonianza di grande umanità e fede. Attraverso i suoi occhi, l’azzurro della Terra vista dallo spazio diventa quello del manto della Vergine, e non si può rimanere insensibili alla profonda commozione che permea le sue parole, quando descrive i colori del nostro pianeta visti come impossibili da ritrovare nel quadro di qualsiasi pittore al mondo. Ancora una volta la consapevolezza della nostra piccolezza, rispetto al creato e a Dio, emerge dal racconto di chi ha avuto la fortuna di poter godere di questo punto di vista unico e privilegiato. Un altro dono di Dio ai suoi figli prediletti, un’altra promessa di bellezza e amore che Lui ha voluto concedere agli uomini.