Fede, speranza e carità: virtù teologali

Fede, speranza e carità: virtù teologali

Fede, speranza e carità sono le tre virtù teologali. Determinano il legame tra uomo e Dio e l’agire morale cristiano. Ma conosciamo davvero bene queste tre virtù?

Fede speranza e carità sono solo alcune delle virtù che l’uomo deve coltivare per poter essere considerato buono e degno.

Prima di tutto cerchiamo di chiarire cosa sia una virtù. Per farlo non c’è niente di meglio che rifarsi al Catechismo della Chiesa cattolica, secondo il quale la virtù è una disposizione abituale e ferma a fare il bene. Dunque possiamo considerare virtù tutti quegli aspetti dell’indole umana che spingono a compiere buone azioni, ma non solo. Le virtù sono la parte migliore di noi, quelle componenti del nostro essere che ci permettono di dare il meglio in ogni situazione.

Questa tensione verso il bene si traduce in una tensione verso Dio. Chi pratica le virtù ambisce a divenire il più possibile simile a Lui.

Nel corso dei secoli gli uomini hanno cercato di codificare le virtù in vario modo.

Gli antichi greci racchiudevano la summa delle virtù umane nella Areté, che includeva forza d’animo, vigore morale e prestanza fisica. Chi la possedeva poteva mettere a frutto tutti i propri talenti. Platone, nel testo La Repubblica, enumera già quelle che diventeranno per i cristiani le quattro virtù cardinali, ovvero quelle capaci di far esercitare il controllo della parte razionale dell’anima sulle passioni: temperanza, coraggio, saggezza, giustizia.

Per gli antichi romani la Virtù era la disposizione dell’animo rivolta al bene, al compimento ottimale di azioni e modi di essere. L’uomo virtuoso romano tendeva a fare il meglio possibile ed essere il più possibile perfetto, compatibilmente con i propri talenti e le proprie doti naturali.

Filosofi di ogni epoca hanno elaborato le loro interpretazioni delle virtù, con una conseguente codificazione di vita e atteggiamento dell’uomo verso il mondo.

Noi in questa sede ci limiteremo a parlare delle virtù intese da un punto di vista cristiano, intendendo con esse tutte quelle attitudini e disposizioni dell’animo che regolano l’agire umano, ordinando le passioni, determinando la condotta, spingendo l’uomo a condurre una vita moralmente degna. Chi persegue le virtù persegue il bene, in modo consapevole e determinato dalla propria volontà.

Il perseguimento delle virtù porta l’uomo a entrare in comunione con Dio.

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Virtù cardinali

Le virtù cardinali sono quelle che possiamo considerare alla base dell’eccellenza dell’essere umano. Il loro stesso nome ci suggerisce come esse siano i cardini intorno ai quali si appoggia la natura dell’uomo virtuoso. Esse sono:

  • prudenza, spinge l’uomo a controllare le passioni e a riconoscere il bene in ogni situazione, oltre a fargli individuare come perpetrarlo;
  • giustizia, la volontà di dare a Dio e agli altri uomini ciò che è giusto e dovuto. Secondo Platone metteva armonia ed equilibrio in tutte le altre virtù, spingendo l’uomo verso la perfezione;
  • fortezza, quello che Platone chiamava coraggio, infonde la forza d’animo che occorre per perseguire le altre virtù e cercare il bene;
  • temperanza, è la spinta verso la ricerca del bene e il controllo su passioni e istinti.

Virtù intellettuali

Sono quelle virtù che regolano il buon uso dell’intelligenza per perfezionare l’intelletto e avvicinare l’uomo alla conoscenza della religione e di Dio. Esse sono:

  • sapienza, la conoscenza teorica delle cose, grazie alla quale l’intelletto può risalire a Dio e all’intangibile;
  • scienza, permette all’uomo di conoscere i vari aspetti della realtà nella loro verità e concatenazione, elaborando adeguate nozioni;
  • intelletto, permette all’uomo di risalire dai pensieri e dai concetti fino ad abbracciare realtà supreme, cogliendo l’essenzialità all’interno di ogni cosa e azione.

Virtù teologali

Veniamo alle virtù teologali, fede speranza e carità, argomento di questo articolo. Si tratta di quelle virtù che determinano il rapporto tra l’uomo e il divino, essendo tutte e tre rivolte direttamente a Dio. La stessa etimologia del termine teologale lo suggerisce: deriva dal greco θεός, “Dio” e λόγος, “parola”.

Sono dunque delle virtù che, pur partendo dall’uomo, tendono al divino, e in esso trovano la propria origine, oggetto e ragione d’essere. A differenza della virtù cardinali e di quelle intellettuali, secondo i teologi della Chiesa le virtù teologali non possono essere ottenute solo con lo sforzo umano, ma devono essere infuse nell’uomo dalla grazia divina.

Abbiamo già detto che sono tre, fede speranza e carità:

  • fede, riguarda la conoscenza di Dio e il credere in Lui, porta alla conoscenza di Dio tramite la rivelazione;
  • speranza, regola il vivere dell’uomo in relazione alla Trinità e alla promessa di salvezza, porta al possesso di Dio, inteso come vita eterna nella luce della Sua gloria;
  • carità, alla base della vita di ogni cristiano, fonte e fine di ogni altra virtù, esprime l’amore per Dio attraverso quello per il prossimo, porta all’amore per Dio e in Dio come massima espressione dell’uomo nella vita e nella morte.

Queste tre virtù sono strettamente legate l’una all’altra: la carità, intesa come amore per Dio, deriva dalla fede, cioè dalla rivelazione di Dio stesso, e anche dalla speranza nella vita eterna che conoscere Dio porta. In realtà il percorso attraverso il quale queste tre virtù ci guidano è un percorso di grazia ed elevazione spirituale, destinato a condurre chi lo intraprende alla massima espressione di santità che Dio può offrire ai suoi figli.

vizi opposti alle virtù teologali, ovvero quelli che nascono dalla mancanza delle medesime sono:

  • incredulità, che nasce dalla mancanza di fede, e porta alla bestemmia e all’apostasia (il rinnegare Dio);
  • disperazione, che nasce dalla mancanza di speranza;
  • odio, che nasce dalla mancanza d’amore e carità

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Vediamo nel dettaglio le tre virtù teologali, fede speranza e carità.

Fede

Se partiamo dal presupposto che Dio è Verità, possiamo dire che la fede è la virtù che ci permette di credere in Lui e in tutto ciò che Egli ha rivelato come unica e ineluttabile Verità. È la virtù che porta a credere, ciecamente, completamente, abbandonandosi senza remore alla volontà di Dio.

Nel Concilio Vaticano II la fede viene descritta così: “A Dio che rivela è dovuta l’obbedienza della fede […], per la quale l’uomo si abbandona tutto a Dio liberamente (se totum libere Deo committit), prestando il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà a Dio che rivela e acconsentendo volontariamente alla rivelazione fatta da Lui”. (Cost. Dogm. Dei Verbum 5; EV 1, 877).

Abbandonarsi del tutto a Dio dunque è la chiave della fede, ma non si tratta di un abbandono passivo. La fede esige anche che noi agiamo in nome di Dio, secondo la sua volontà, e solo questo ci rende degni di essere sui figli, e parte del corpo di Gesù. Come leggiamo in nella lettera di Giacomo: “la fede senza le opere è morta” (Gc 2,26).

È Gesù a indicarci come la fede debba essere vissuta in pienezza, non solo come assoluta fiducia in Dio e nella sua volontà, ma anche come testimonianza costante, da diffondersi il più possibile. Solo questo conduce alla salvezza.

“Chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli” (Mt 10,32-33).

Speranza

La speranza è la virtù che spinge l’uomo a desiderare la salvezza eterna e il regno dei cieli come massima forma di felicità e adempimento dell’esistenza. Nasce dalla fiducia nella promessa di Cristo, che ha rivelato che per chi vive nella volontà di Dio e si lascia guidare dallo Spirito Santo ci sarà una vita dopo la morte, eternamente felice per i buoni, eternamente infelice per i cattivi.

San Paolo riconosce l’importanza dello Spirito Santo, che è il vero aiuto per chi spera nella salvezza eterna. Infatti non basta la forza dell’uomo per ottenerla, ma occorre anche la grazia che Dio ha infuso nei nostri cuori tramite lo Spirito Santo: “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm. 5,5).

Dunque la speranza trae la sua forza da un lato da Gesù Cristo, che ha promesso, dall’altra sullo Spirito Santo, donatoci da Dio come ‘carburante’ per alimentare quella promessa.

La speranza non va intesa come un semplice anelito alla felicità dopo la morte. Ogni azione della nostra vita, ogni attività, trae da essa vigore e ragione d’essere. La speranza ci spinge ad affrontare le prove di ogni giorno, ci sostiene nelle delusioni e ci protegge dai momenti di sconforto. Davvero in essa risiede il motore del nostro vivere quotidianamente il nostro essere cristiani, e questo motore alimenta anche le altre virtù teologali, ovvero la fede e la carità.

Nel nostro perseguire la speranza dobbiamo pensare ad Abramo, un vero modello in questo senso, simbolo e origine stessa della speranza del popolo eletto: “Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza e così divenne padre di molti popoli” (Rm 4,18).

Gesù ha voluto alimentare il fuoco della speranza predicando le beatitudini, che descrivono agli uomini cosa occorre per essere davvero felici e offrono un modello per vivere secondo i Suoi insegnamenti. L’uomo che vive secondo gli insegnamenti di Gesù, benedetto da queste beatitudini, è già proteso vero la salvezza.

Qualche esempio di beatitudine lo possiamo trovare nel Discorso della montagna: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la Terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.” (Matteo 5,3-12).

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Santa Teresa d’Avila, religiosa e mistica spagnola, una delle figure più importanti della Riforma cattolica, nel suo Exclamaciones del alma a su Dios, scrive parole splendide in merito a come un vero cristiano dovrebbe vivere ogni giorno la speranza: “Spera, anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l’ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve. Pensa che quanto più lotterai, tanto più proverai l’amore che hai per il tuo Dio e tanto più un giorno godrai con il tuo Diletto, in una felicità ed in un’estasi che mai potranno aver fine.”

Carità

La carità è la virtù dell’amore per eccellenza. Amore per Dio sopra ogni cosa, e amore per il prossimo come manifestazione dell’amore per Dio.

È considerata la più importante delle tre virtù teologali, in quanto esse ispira e dà forza tanto alla fede quanto alla speranza.

Così scrive San Paolo: “Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!” (1 Corinzi 13,13)

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Gesù ne è il portatore, Lui che ha amato i suoi amici fino alla fine, dando la vita per loro e ha donato ai suoi discepoli un comandamento nuovo“Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9).
E soprattutto: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15,12).

L’amore per il prossimo a cui Gesù ci invita è totale, universale, perché include anche coloro che non conosciamo, perfino i nostri nemici. In questo, come già per la speranza, ci viene in aiuto lo Spirito Santo. È grazie ad esso, oltre che con l’osservazione costante dei comandamenti, che possiamo manifestare il nostro amore, la nostra carità. Dobbiamo sempre tener presente che l’amore per il prossimo non è altro che un mezzo, una prova del nostro amore per Iddio.

Dunque la carità cristiana si rivolge a due soggetti:

  • Dio, che va amato per sé stesso sopra ogni altra cosa, e che si è rivelato grazie alla fede;
  • Noi stessi e il prossimo, che dobbiamo amare per amore di Dio.

Per quanto riguarda l’amore verso Dio, esso deve essere totale, sconfinato.

È ancora Gesù che ci spiega come e quanto dobbiamo amare Dio: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il massimo e primo comandamento” (Mt. 22,37-3 8).

Sant’Antonio di Padova nei suoi sermoni ribadisce più e più volte la necessità di amare Dio con tutto ciò che sei, tutto ciò che hai […] con tutto il tuo cuore e con tutta la tua mente, poiché Dio ha dato tutto sé stesso, e l’uomo può solo ricambiare allo stesso modo, senza riserve, senza trattenere una parte.

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Dobbiamo inoltre considerare che, mentre fede e speranza finiscono con la morte, la carità non avrà mai fine. Infatti l’uomo che muore da buon cristiano andando in Paradiso vedrà Dio, oggetto della sua fede, e il compiersi della propria speranza, ma non smetterà di amare Dio.

La carità comincia in questa vita, in questa terra, ma dura per l’eternità. Ancora San Paolo ce lo ricorda, con parole oltremodo poetiche: “ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa, ma allora vedremo a faccia a faccia” (I Cor. 13,12)

Virtù teologali simboli

Le virtù teologali sono sempre state rappresentate simbolicamente nell’iconografia e nell’arte. La tendenza a tradurre in simboli, o addirittura a umanizzare ciò che è trascendente è una caratteristica presente nell’arte sacra occidentale fin dai suoi albori. Pensiamo a un esempio per tutti: lo Sposalizio mistico di San Francesco del Sassetta, che raffigura il santo di Assisi mentre sposa la Povertà, la Castità e l’Obbedienza raffigurate come tre fanciulle vestite rispettivamente di verde, di bianco e di rosso.

Anche le tre virtù teologali, fede, speranza e carità, sono state spesso raffigurate come figure femminili, paragonabili alle tre grazie, e dunque giovani e belle. Alle rappresentazioni pittorico o scultoree delle tre virtù venivano poi associati simboli iconografici ricorrenti: il calice o la croce per la fede, una catena o un’ancora per la speranza, il cuore di Cristo per la carità.

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