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Il Crocifisso di San Damiano è quello dinanzi al quale San Francesco era intento a pregare nel momento in cui, nel lontano 1205, ricevette dal Signore la chiamata a lavorare per rimettere a nuovo la Sua chiesa. Il Santo di Assisi credette in un primo tempo che l’Altissimo si riferisse alla chiesetta di San Damiano, dove lui si trovava in quel momento, e che necessitava di un’opera di restauro, ma successivamente si rese conto che la Sua richiesta includeva tutta la Chiesa, funestata da decadenza, corruzione, lotte intestine. “Va’ e ripara la mia casa, che come vedi è tutta in rovina” furono infatti le parole che il crocifisso rivolse al giovanissimo Santo.
Oggi il Crocifisso di San Damiano è un’immagine famosa in tutto il mondo, meta di un pellegrinaggio costante da parte delle migliaia di fedeli che ogni anno si recano ad Assisi. Originariamente situato nella chiesa di San Damiano, appunto, adesso è esposto presso il monastero di Santa Chiara, dove venne trasferito nel 1275.
Ma che cosa rende così speciale questa immagine sacra? Di certo gran parte della sua celebrità viene proprio da San Francesco d’Assisi e dall’esperienza mistica legata al Crocifisso di San Damiano che lo coinvolse, ma questa particolare rappresentazione del Cristo trionfante in croce esisteva da molto prima che gli occhi del poverello d’Assisi si posassero su di essa. Infatti questo tipo di croce, che richiama potentemente le icone bizantine, nasce con la Chiesa orientale e giunge in Italia, e in Umbria attraverso un viaggio lungo e avventuroso.
Ma andiamo per gradi.
Chi era San Damiano?
Damianus, o Damiano, era un giovane medico di origine araba, nato nella città di Egea o Aigai in Cilicia (oggi conosciuta come Ayas degli Armeni, Turchia) e vissuto nel III secolo d.C. in quella che allora era conosciuta come la Siria romana. Apparteneva a una famiglia composta da cinque fratelli: Cosma (secondo gli studiosi moderni il gemello di Damiano), Antimo, Leonzio ed Euprepio. L’identità del padre è ignota, anche se sembra si trattasse di un cristiano che subì il martirio ancora giovanissimo. La madre, Toedora, o Teodata, poi santificata a sua volta, crebbe i cinque figli da sola.
Poiché apparteneva a una famiglia benestante, poté garantire loro una buona istruzione, tanto che tutti e cinque intrapresero la carriera di medico, ma, soprattutto, essendo una donna profondamente religiosa e devota, li educò all’amore di Dio. Damiano e i suoi fratelli studiarono in Siria e probabilmente ad Alessandria, presso le scuole di Teofrasto e Galeno. Il loro essere cristiani segnò irrimediabilmente il loro destino: furono tutti martirizzati, presumibilmente durante una delle persecuzioni promosse dall’imperatore Diocleziano (284 – 305).
La leggenda racconta che, arrestati dal prefetto di Cilicia, Damiano e Cosma furono dapprima lapidati, poi fustigati, crocefissi e bersagliati dai dardi. Ma le pietre rimbalzavano loro addosso, colpendo i soldati, e le punte delle frecce e delle lance non li scalfivano. Allora furono gettati in mare legati a pesanti macigni, ma le funi che li stringevano si sciolsero, e loro si salvarono. Quindi vennero incatenati e chiusi in una fornace, ma nemmeno il fuoco li lambì.
Alla fine tutti e cinque i fratelli vennero decapitati nella città di Cirro, vicino ad Antiochia di Siria. Una tradizione meno fantasiosa parla dell’arresto, della tortura e della morte per decapitazione sotto Diocleziano.
Il loro culto cominciò subito dopo la loro morte. In tutto l’Oriente vennero erette chiese e santuari a loro dedicati, e rapidamente raggiunse anche l’Occidente, e Roma. Già a partire dal VI secolo, il Canone della Messa, ricordava dopo quelli degli Apostoli i nomi di dodici martiri, tra i quali Cosma e Damiano.
Oltre al martirio, fu anche la vita virtuosa a destinare questi fratelli così speciali alla Santità.
Essi avevano l’abitudine di curare i bisognosi senza chiedere nulla in cambio, secondo il precetto evangelico: “Gratis accepistis, gratis date” “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8). Questo aveva valso loro il soprannome di anàrgiri, o Anargyroi (dal greco Ανάργυροι, “senza argento”, “senza denaro”).
Solo una volta Damiano accettò tra uova da una donna che aveva guarito, e questo gesto offese il suo gemello Cosma al punto da fargli chiedere che, una volta morto, le sue spoglie fossero deposte lontane da quelle del fratello.
L’attività medica consentiva a Damiano e ai suoi fratelli di venire a contatto con molti uomini e donne, e di predicare loro la parola di Dio. Molte furono le conversioni compiute dai cinque fratelli, e fu anche ciò che scatenò su di loro la persecuzione dell’Imperatore.
Dicevamo del culto per Damiano e i suoi fratelli, in particolare Cosma, noti come “santi medici”, venerati da tutte le professioni cristiane, considerati i protettori di Medici, Chirurghi, Farmacisti, Parrucchieri.
Alla fine Cosma e Damiano furono sepolti insieme, dopo che un cammello acquistò il dono della parola solo per difendere le buone intenzioni e la buona fede di Damiano stesso nella faccenda delle tre uova. I due fratelli maggiori iniziarono subito a essere adorati come guaritori e taumaturghi, e le loro reliquie, considerate miracolose, iniziarono a viaggiare tra Oriente e Occidente, attraverso tutto il mondo conosciuto, ospitate da cattedrali e basiliche a Costantinopoli, Roma, Gerusalemme, Madrid, Monaco, e in Egitto. L’iconografia tradizionale li rappresenta sempre insieme, con i loro strumenti medici, i loro vasi di unguenti e rimedi farmaceutici, e la palma del martirio. La Chiesa cattolica celebra la loro memoria il 26 settembre con culto facoltativo, quella Ortodossa il 1º luglio, il 17 ottobre o il 1º novembre.
Il Crocifisso di San Damiano
Veniamo ora al Crocifisso di San Damiano, davanti al quale Francesco d’Assisi si raccolse in preghiera in quel giorno che cambiò per sempre la sua vita.
Come abbiamo già scritto, si tratta di una croce-icona in stile bizantino, probabilmente dipinta nel XII secolo da un monaco siriano. Gesù, nonostante sia sulla croce, non appare sofferente, ma trionfante, come un Re sul trono, secondo l’iconografia tipicamente medievale del Christus triumphans.
Come sempre accade quando si parla di arte bizantina, la bellezza dell’opera non risiede tanto nel riscontro estetico della medesima, che offre piuttosto una certa sproporzione anatomica e una dimensione che qualcuno ha definito caricaturale, o da fumetto, delle figure. La bellezza di questo crocifisso, probabilmente uno di una serie dipinta in quel periodo dal misterioso artista, esprime una spiritualità potente, una solennità che non si coglie con un’occhiata superficiale. Tutto è strutturato in modo meticoloso, nella sua apparente ingenuità, tutto occupa lo spazio che gli compete, in un quadro in cui si respira l’afflato del Trionfo divino.
Gesù è ferito e morente, eppure non è mai apparso così forte. Trionfa sulla morte, l’affronta a testa alta, con gli occhi aperti, grande, immenso rispetto alle altre figure che popolano lo sfondo. È raffigurato con una sorta di stoffa dorata intorno ai fianchi, di derivazione egizia, probabilmente, che simboleggia il Suo essere, a un tempo, sommo sacerdote e vittima sacrificale. Sul Suo capo l’aureola sembra una corona d’oro, i suoi capelli sono ordinati, il suo volto esprime nobiltà, bellezza, serenità.
È vero, i suoi occhi rivolti al cielo appaiono forse troppo grandi, sproporzionati rispetto al volto, ma il significato che vogliono esprimere è chiaro: Lui è colui che più di tutti può vedere, che guarda la Cielo e al Padre per noi tutti. Sulla Sua testa c’è la scritta Ihs Nazare Rex Iudeorum, ovvero “Gesù Nazareno Re dei Giudei”. Ancora più in alto, un medaglione mostra Gesù che ascende al cielo, circondato da angeli in gloria, e sopra di Lui la mano benedicente di Dio Padre.
Tornando al crocifisso, sulla fronte di Gesù c’è una colomba che scende in picchiata con le ali spiegate, simbolo dello Spirito Santo.
L’immagine di Gesù è racchiusa in una cornice fatta di conchiglie, che seguono i contorni della croce e simboleggiano bellezza ed eternità.
I personaggi alla base della croce non sono distinguibili: potrebbe trattarsi, secondo alcuni studiosi, dei patroni dell’Umbria, ovvero San Damiano, patrono della chiesa che ospitava la croce, San Ruffino, patrono d’Assisi, e poi San Michele, San Giovanni il battista, San Pietro, e San Paolo, tutti patroni delle chiese nella zona di Assisi. Come tutti gli altri personaggi presenti nell’opera sono molto più piccoli rispetto alla figura di Gesù.
Alcuni studiosi parlano di messaggi subliminali celati nel dipinto, dettagli che l’occhio non coglie, a una prima occhiata superficiale: sul petto di Gesù s’intravede la testa di un personaggio, forse Dio onnipotente, tracciata con la filigrana, e un’altra figura non meglio definita.
Le mani di Gesù stillano sangue su due coppie speculari di angeli situati sotto le Sue braccia. Gli angeli situati a destra e a sinistra sono gli angeli Messaggeri di Dio, che guardano le stimmate con serenità e partecipazione, discutendo tra loro del Mistero che si sta consumando.
Una terza e una quarta figura chiudono con i propri corpi ciascun braccio della Croce, forse due evangelisti, o due apostoli, o forse il popolo ebraico e i ‘gentili’.
Sotto il braccio destro di Gesù, più grandi, ci sono Maria, e l’Apostolo Giovanni. I due si guardano, si sorridono indicando Gesù, loro che per volere di quest’ultimo sono diventati madre e figlio: “Donna, ecco tuo figlio…”(Gio. 19:26). Maria ha la mano sinistra appoggiata alla guancia, mentre con la destra indica Giovanni. È vestita di bianco, simbolo di purezza, di rosso intenso, colore dell’amore, e di porpora, con un richiamo ai tessuti che si dice foderassero l’Arca dell’Alleanza. Le sue vesti sono trapuntate di pietre preziose, che simboleggiano le virtù. Giovanni è vestito di rosa, colore della saggezza eterna, e di bianco, segno di purezza.
Sotto il braccio sinistro di Gesù altre tre figure: Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo e il Centurione. Come per Maria e Giovanni, anche queste figure hanno il proprio nome riportato in basso, sotto i loro piedi.
Maria Maddalena veste di rosso, colore dell’amore. Lei e Maria madre di Giacomo si toccano la fronte, come se si stessero sussurrando qualcosa.
L’ultima figura a sinistra, che rappresenta un uomo barbuto vestito di bianco e rosso, rappresenterebbe il Centurione il cui figlio Gesù guarì, portando alla conversione di tutta la famiglia.
Due personaggi più piccoli sono situati simmetricamente davanti a Maria e al Centurione: quello a sinistra è un soldato romano, Longino, che trafisse il petto si Nostro Signore facendone uscire acqua e sangue; l’altro è messo nella medesima posizione, ma non sembra un soldato romano, quanto piuttosto un ebreo. Potrebbe anche essere Stefano, il soldato romano che fece bere a Gesù l’aceto con la spugna, ma è più probabile che le due figure simboleggino i due popoli che hanno condannato Gesù a morte, romani ed ebrei.
Accanto alla gamba sinistra di Gesù c’è un gallo, simbolo del sole che nasce, ovvero di Gesù stesso che risorge dalla morte.
Il crocifisso di San Damiano rimase nell’omonima chiesa ristrutturata da Francesco, per quarant’anni, custodito da Santa Chiara e dalle sue consorelle. Pochi anni dopo la morte della Santa, le monache trasferirono il monastero dentro le mura cittadine, dove venne eretta la basilica di Santa Chiara. Portarono con loro il Crocifisso di San Damiano, che tuttora si trova lì, in una cappella. Nella chiesetta di San Damiano è rimasta una copia.
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