La gerarchia ecclesiastica nella Chiesa Cattolica

La gerarchia ecclesiastica nella Chiesa Cattolica

La chiesa è un’istituzione molto ampia e complessa. Come tale necessità di una gerarchia ben definita che si è venuta a creare nel corso del tempo. Scopriamo qualcosa di più sulla gerarchia ecclesiastica nella Chiesa Cattolica.

Che cosa intendiamo per gerarchia ecclesiastica? Quando Gesù ha fondato la chiesa, il modello da cui è partito è stato quello della comunità composta da Lui, i suoi apostoli e i vari discepoli. Per certi versi questa prima definizione gerarchica è rimasta alla base della gerarchia della chiesa cattolica che noi conosciamo.
Il Papa, vescovo di Roma, è il successore di San Pietro, designato da Gesù come maestro e fondatore della chiesa cattolica.
Vescovi, eletti dal Papa, sono i successori degli apostoli.
Naturalmente, man mano che la Parola di Dio si espandeva nel mondo e con essa la chiesa, è stato necessario creare un’organizzazione gerarchica che assicurasse un controllo capillare sul territorio e permettesse di raggiungere un numero sempre più vasto di fedeli.

La gerarchia ecclesiastica cattolica come la conosciamo oggi è frutto di innumerevoli concili e deliberazioni. Attraversando il tempo e avendo preso parte alle vicende umane, la chiesa ha dovuto definire una serie di figure chiave, di cariche ecclesiastiche, che appoggiano il Papa e i Vescovi nel loro compito di governo e cura del popolo di Cristo. La parola gerarchia deriva dalle due parole greche “hierós”, sacro, e “archeía”, comando.

La gerarchia della chiesa si basa fondamentalmente sulla facoltà o meno, da parte degli ordinati di vario livello, di amministrare o meno i Sacramenti, e sul potere di intervenire a livello di giurisdizione, per esempio nominando un nuovo vescovo o assegnando una parrocchia a un prete.

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Per la prima questione si parla di “potestas ordinis”, potestà d’Ordine, per la seconda “potestas iurisdictionis”, potestà di giurisdizione.

In un articolo precedente dedicato ai diaconi abbiamo già spiegato come il Concilio Vaticano II, convocato da Papa Giovanni XXIII nel 1962, e i cui lavori si sono protratti fino al 1965 sotto la guida di Papa Paolo VI, abbia definito l’organizzazione moderna della Chiesa e l’ordine ecclesiastico. Il clero come noi lo conosciamo, e che comprende tutti coloro i quali hanno ricevuto l’Ordinazione, è composto da tre gradi ecclesiastici principalii Vescovi, i Presbiteri e i Diaconi, che costituiscono la scala gerarchica della chiesa.

Primo livello

In cima alla gerarchia ecclesiastica abbiamo già indicato il Papa come Vescovo di Roma e capo supremo della Chiesa. La sua carica è a vita.

Dopo di lui vengono per importanza i Cardinali. Infatti gli altri vescovi sono considerati i successori degli apostoli, e vengono nominati dal Papa, ma alcuni di loro possono assurgere alla carica di Cardinali, sempre per sua volontà.

Qual è la differenza tra vescovo e cardinale?

Cardinali devono aiutare il Papa ad amministrare la chiesa. Per farlo sono riuniti nel Collegio Cardinalizio, o Collegio Sacro. Devono inoltre partecipare al conclave, ovvero all’elezione del nuovo Papa. Il colore che contraddistingue i cardinali è il rosso porpora e il termine con cui ci si rivolge a loro è Eminenza.

Vescovi, invece, ottengono la loro carica mediante l’ordinazione episcopale. I Vescovi, così come i presbiteri e i cardinali, vanno in pensione a 75 anni. I loro compiti sono guidare le diocesi,

le “porzioni del popolo di Dio”, ovvero le unità territoriali e amministrative che compongono la chiesa, ordinare preti e diaconi e amministrare il Sacramento della Confermazione (cresima). I vescovi possono inoltre amministrare tutti i Sacramenti, compresa l’Ordinazione religiosa. Il colore che li contraddistingue è il viola, e possono essere chiamati Monsignore o Eccellenza.

Qual è la differenza tra vescovo e arcivescovo?

Un semplice vescovo regge una diocesi. Un arcivescovo è il vescovo di un’arcidiocesi, ovvero la diocesi a capo di una provincia ecclesiastica formata da molte diocesi. Se l’arcivescovo è anche capo della provincia ecclesiastica assume il nome di metropolita o vescovo metropolitano. La qualifica di arcivescovo può anche essere solo onorifica.

Secondo livello

Al secondo livello troviamo i Presbiteri, cioè i preti, detti anche parroci se legati a una particolare parrocchia. Anche la parrocchia è un’unità amministrative della Chiesa.

Più parrocchie compongono un vicariato, quindi un parroco potrebbe anche ricoprire la carica di vicario, coordinatore di tutte le parrocchie del territorio. Anche i presbiteri vanno in pensione a 75 anni. I preti possono amministrare tutti i Sacramenti, a esclusione dell’ordinazione religiosa, impartire la benedizione eucaristica e somministrare ai fedeli l’Eucaristia.

Terzo livello

Infine, all’ultimo livello della gerarchia ecclesiastica, ci sono i Diaconi, che assistono preti e vescovi durante le cerimonie. Possono amministrare solo il Sacramento del Battesimo, e quello del matrimonio con una particolare delega. Predicano la Parola di Dio e prestano servizio presso le comunità parrocchiali. Possono essere sposati e avere figli.

Altri titoli ecclesiastici

Ci sono poi ulteriori titoli ecclesiastici e cariche più o meno specifiche solitamente ricoperte da uomini che già detengono una posizione nella gerarchia ecclesiastica.

Per esempio il Nunzio apostolico è una sorta di ambasciatore, in quanto rappresenta la Santa Sede presso uno Stato.

Un Primate della chiesa è invece una carica onorifica assegnata a un vescovo o a un arcivescovo che presiede una diocesi o una arcidiocesi particolarmente antica e prestigiosa.

Il Vicario generale è una figura che può rappresentare il vescovo nella gestione dei rapporti tra parrocchie e vicariati, i vari distretti in cui è suddivisa territorialmente la diocesi, e nelle questioni che coinvolgono enti territoriali, amministrazione dei beni ecclesiastici e questioni giuridiche.

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Abbigliamento e colori dei vari gradi del clero

Naturalmente a seconda del livello di appartenenza e dei compiti affidati ai vari uomini di chiesa ci sono diversi abiti e paramenti sacri che devono essere indossati.

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L’abito ecclesiastico è infatti un obbligo sancito dal codice di diritto canonico e dal 1983 la Conferenza Episcopale Italiana ha decretato l’obbligo della veste talare o del clergyman per tutti gli appartenenti al clero. I presbiteri possono indossare semplicemente la veste talare, o in alternativa il clergyman, eventualmente corredati da altri accessori ed indumenti. In particolare la fascia è un accessorio che permette di individuare, grazie al colore, il livello a cui appartiene l’uomo di chiesa: essa sarà nera per i semplici preti, viola scuro per il Vescovo e in generale gli alti prelati, viola scuro marezzata per il Nunzio Apostolico, rossa marezzato per un Cardinale, bianca marezzata con frangia dorata per il Papa.

Anche il saturno, il tipico copricapo nero che i presbiteri indossano con l’abito talare, è ornato con fiocchi che cambiano colore a seconda dei gradi religiosi di chi lo indossa: verde per i vescovi, rosso per i cardinali, rosso con ornamenti d’oro per il Papa.

La pellegrina, antico indumento distintivo dei pellegrini, è diventata nel tempo una veste ecclesiastica riservata ai vescovi. Si tratta di una mantella corta aperta sul davanti. La pellegrina è nera con bordi e fodera cremisi per i vescovi, con bordi e fodera rosso vivo per i cardinali, bianca per il Papa. L’alternativa alla pellegrina è la mozzetta, mantellina corta, chiusa sul petto da bottoni, sempre riservata agli alti prelati.

C’è poi il piviale, ampio mantello con abbozzo di cappuccio lungo quasi fino ai piedi e aperto sul davanti. Viene indossato dai vescovi e dai presbiteri nelle celebrazioni solenni al di fuori della messa ed è fermato sul petto da un fermaglio che varia a seconda del grado ecclesiastico.

I diaconi indossano invece la dalmatica, una lunga tunica con le maniche larghe, ma può essere indossata da un vescovo, sotto la casula o la pianeta.