Il significato di INRI sulla croce di Gesù

Il significato di INRI sulla croce di Gesù

Il significato di INRI sulla croce di Gesù: da dove deriva e cosa vuol dire questa sigla misteriosa che appare in tutte le raffigurazioni del Gesù sulla croce? E qual è il significato del nome Gesù?

A ciascuno di noi, frequentando chiese e luoghi di culto, ma anche sfogliando libri di storia dell’arte che mostrano raffigurazioni della Crocifissione, è capitato di soffermarci sulla targa posta sulla croce, solitamente appena sopra il capo di Gesù. In questo caso non si tratta di una prerogativa della crocifissione del Cristo e non ha una particolare spiegazione religiosa. Il significato di INRI sulla croce è da ricercarsi invece nel diritto romano, che prescriveva, in caso di condanna a morte per crocifissione, una serie di regolamentazioni molto precise.

Dobbiamo pensare che ai tempi della Roma repubblicana solo gli schiavi, i prigionieri di guerra e i rivoltosi venivano giustiziati in questo modo. La crocifissione era considerata una condanna particolarmente esecrabile, perché il corpo restava esposto per giorni lungo la strada, in balia del sole, del maltempo e degli animali. In seguito, in epoca imperiale, si decise di estendere questo tipo di condanna anche agli uomini liberi. Chi veniva condannato alla crocifissione veniva frustato brutalmente, prima che venisse eseguita l’esecuzione vera e propria: le frustate dovevano ridurlo in fin di vita, ma non ucciderlo, perché la morte doveva avvenire sulla croce. E perché questa condanna fosse di monito a tutti, il giudice dettava un titulus, la motivazione della sentenza, che veniva inciso su un cartello di legno o terracotta e appeso al collo del condannato, insieme al suo nome.

Così avvenne anche per Gesù. Il significato di INRI sulla croce è il Titulus crucis che Ponzio Pilato decretò per Cristo nel momento in cui Lo condannava a morte, come motivazione della sentenza.

Ma cosa significa INRI? INRI è l’acronimo di  ‘Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum’, ‘Gesù Nazareno Re dei Giudei’.

L’iscrizione INRI viene riportata differentemente dai quattro vangeli canonici.

Nel Vangelo di Marco riguardo la targa posta sul capo di Gesù si legge solo: “L’iscrizione indicante il motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei” (Marco 15, 26)
Matteo scrive: “Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: «Questi è Gesù, il re dei Giudei»” (Matteo 27,37).
Nel Vangelo di Luca leggiamo invece: “C’era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei” (Lc 23,38)

Il Vangelo di Giovanni presenta un’interpretazione particolare. In occasioni di eventi solenni il titulus veniva scritto addirittura in tre lingue. Nel Vangelo di Giovanni è scritto che anche per la morte di Gesù fu così, e che Pilato volle farsi beffe di Cristo facendo scrivere il titulus in tre lingue: “Pilato intanto fece scrivere anche il titolo, che diceva la causa della condanna, e lo fece porre sulla croce. Vi era scritto: ‘Gesù Nazareno, Re dei Giudei’. Or molti dei Giudei lessero quest’iscrizione, essendo il luogo dove fu crocifisso Gesù, vicino alla città. Ed era scritto in ebraico, in latino e in greco. Dissero dunque i grandi Sacerdoti dei Giudei a Pilato: ‘Non scrivere: Re dei Giudei; ma che egli ha detto: Io sono il re dei Giudei’. Rispose Pilato: ‘Quel che ho scritto, ho scritto’”. (Gv 19, 19-22).

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Sui crocifissi nelle Chiese Ortodosse l’iscrizione non è INRI, ma INBI, dal greco Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ Bασιλεὺς τῶν Ἰουδαίων, Ihsous Nazoraios Basileus ton Ioudaion, Gesù Nazareno Re dei Giudei.

A Roma si trova una tavola di legno di noce che viene considerata la targa originale infissa sulla croce di Gesù. È conservata nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, dove un tempo sorgeva il palazzo dell’imperatrice Elena, madre di Costantino, che aveva raccolto molte reliquie della Passione. Difficile provare la veridicità di questa targa, rinvenuta nel XV secolo durante lavori di restauro del coro, del soffitto e dell’affresco dell’abside. In una nicchia venne trovata una scatola di piombo che conteneva una tabella di terracotta, con la scritta “TITULUS CRUCIS” e la parte iniziale di iscrizioni in greco, latino ed ebraico. La leggenda vuole che fosse stata Sant’Elena in persona a portare parte della tavoletta a Roma insieme alle tre croci ritrovate sul Golgota e ai chiodi della crocifissione.

Il nome di Gesù nella lingua ebraica

Secondo il Vangelo di Giovanni, dunque, Pilato fece scrivere il titulus crucis di Gesù in tre lingue. Collegandoci alla scritta in ebraico, soffermiamoci un momento sul significato del nome di Gesù nella lingua ebraica. Il nome aramaico “Yeshu” è la traslitterazione di יֵשׁוּעַ (Yeshu’a), e si pronuncia “Yeh-shoo”, senza la “a”. Il corrispettivo italiano è Giosuè, di cui Gesù è una forma alternativa, e significa “YHWH (Dio) è salvezza“. Quando la Bibbia venne tradotta in greco e poi in latino il nome venne reso come Ἰησοῦς (Iēsoûs) e successivamente Iesus. Il nome Yehoshùa era piuttosto diffuso nei tempi raccontati nei Vangeli. Anche nella genealogia di Gesù (Lc 3:27) troviamo un altro Gesù suo antenato. Oltre a Gesù nella Bibbia incontriamo Giosuè, appunto, il condottiero che guidò il popolo di Israele dopo la morte di Mosè. San Paolo aveva un collaboratore fidato che si chiamava Iesùs (Col 4:11).

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Il nome di Gesù è un tutt’uno con la Sua missione, col Suo destino. Quando l’angelo apparve in sogno a Giuseppe gli disse, riguardo a Maria: “Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Matteo 1,21).  Nel testo originale greco il nome menzionato dall’angelo è Ỉησοῦν, Iesùn, nei testi ebraici ישוע (Yeshùa). La frase in ebraico recitava: “lo chiamerai Yèshùa poiché egli salverà il suo popolo”, ed ecco che nella frase troviamo l’interpretazione del nome: Yeshùa, “Yah salverà”, dove Yah e l’abbreviazione del nome di Dio (“Yah [יה] è mia forza”, Es 15:2) e shùa significa “salvezza”.